Mentre il paese è ancora alle prese con la “seconda ondata” della pandemia, teme la terza agli inizi dell’anno venturo e guarda con qualche preoccupazione all’organizzazione della futura vaccinazione di massa, può essere interessante scrutare i segnali che ci proiettano oltre questo anno horribilis, oltre questa prolungata emergenza sanitaria.
Fin dagli inizi si è sviluppato un dibattito sui lasciti permanenti della crisi, sulle forme future dell’abitare, sull’avvenire delle aree urbane e del loro rapporto con i territori ad essi esterne: spesso economicamente periferici ma custodi di valori ambientali ed umani di cui si è riscoperta l’importanza.
Un sondaggio condotto da Il Sole 24 Ore evidenzia ad esempio che “la maggioranza degli italiani sta vivendo questa fase storica come opportunità di cambiamento (…) la metà di chi vive nelle grandi città sta pensando di trasferirsi in centri più piccoli” (1).
Su questo tema sembrano ora emergere posizioni e valutazioni più realistiche, fondate anche su prime evidenze statistiche.
Scrivono ad esempio Federico Boffa e Gianluca Gindro:
“Sembra improbabile, e forse nemmeno auspicabile, un passaggio, almeno in tempi rapidi e date le attuali tecnologie a disposizione, a un lavoro completamente in modalità remota. È ormai infatti sempre più chiaro che, in molte attività, molte delle quali ad elevatissimo valore aggiunto, non serve essere in ufficio tutti e cinque i giorni della settimana. Sembra invece delinearsi una tendenza intermedia, che potrebbe già emergere nel breve termine. (….) Un’attività lavorativa effettuata almeno in parte in modalità remota ne aumenta la produttività, oltre ad aumentare il livello di soddisfazione di chi la svolge. In questo contesto, l’ufficio diventa quindi il luogo dell’interazione con i colleghi e non più quello del lavoro autonomo”(2).
Pare cioè di scorgere un modello che prevede la possibilità di una integrazione tra lavoro da remoto, quello più individuale, e quello in ufficio, per le attività che richiedono la collegialità o comunque l’interazione collettiva.
Ecco così motivarsi e sostanziarsi la prospettiva di un rinnovato interesse, anche abitativo, per i territori meno investiti dai processi di urbanizzazione, che – più o meno consapevolmente – hanno conservato elevati standard ambientali e paesaggistici, anche perché collocati nelle numerose aree collinari e montane del nostro Paese.
Questo modello richiede però almeno due pre-condizioni essenziali: un livello adeguato di connettività digitale per il lavoro da remoto ed una maglia infrastrutturale che non renda velleitario questa nuova forma, più leggera di pendolarismo.